La casa di carta non è la migliore serie tv mai scritta. Sì, gli snodi emozionali sono ben sottolineati da musica e immagini. Sì, all’inizio la storia era originale. E sì, è stato decisamente un successo globale che nessuno si aspettava.
Ma a ben pensarci non ha quel qualcosa che possa farlo ascendere al Parnaso della narrazione. Non c’è una storia che può cambiarti la vita. Non ci sono messaggi che ti entrano nel cuore per esploderci dentro. Altre serie di certo ci appaiono più destinate a rimanere alla storia.
Nessun elemento di specialità dunque. Tranne uno: i personaggi. Ogni narratore o aspirante tale dovrebbe guardare con attenzione La casa di carta. Non per la sua storia né per altro se non per i suoi personaggi.
Chi ha ideato quel mondo – cioè Álex Pina – ha avuto l’accortezza di prendere a prestito dalla narrazione scritta la voglia di approfondire ogni personaggio. La sua storia, il suo passato. Il motivo per cui indossa, non solo metaforicamente, quella maschera.
Gli bastano poche pennellate per fare di ciascuno un ritratto sufficiente a sfamare la nostra curiosità. Ne racconta i limiti e le paure, i desideri e i valori di riferimento, i sogni e gli incubi. Ci dice insomma il perché sceglie di indossare, non solo metaforicamente, quella maschera. Ma riesce anche nello stesso tempo a metterci dentro la voglia di sapere come ciascun personaggio interagirà con gli altri.
E questo testimonia ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che il vero segreto della narrazione non sta in alambicchi narrativi che mischino intrecci e scrittura creativa. Non è neanche nella capacità di raccontare le emozioni in modo reale e penetrante. Ma nella capacità di rendere i personaggi di cui si parla verosimili, coerenti, appassionanti. Nella capacità cioè di prendere per mano il lettore, o lo spettatore, e di condurlo in quel mondo in cui il personaggio è immerso.
Cosa che La casa di carta è riuscita a fare in modo egregio.