Fenice, archetipo di morte, archetipo di rinascita

La storia della fenice inizia in Egitto, in culti misteriosi e dimenticati
La fenice trasmigra nella cultura greco-romana e si spande ai confini dell’occidente
“le penne sono parte color d’oro, parte color rosso vivo: soprattutto esso è molto somigliante all’aquila per contorni e per grandezza” (Erodoto, Storie, Libro II, capitolo 73)
in alchimia la fenice è sempre associata all’oro, metallo della rubedo, cammino della materia che giunge alla sua perfezione
è un essere solitario e ogni cinquecento anni, secondo Erodoto, si costruisce un nido e vi si lascia consumare dalle fiamme del sole, poi dalle sue ceneri sorge un nuovo esemplare, giovane, identico e immortale
E sempre secondo Erodoto questo uccello è associato alla mirra
“foggia un uovo di mirra, grande quanto è in grado di portare, e poi prova a volare con questo carico; compiuta la prova, svuota l’uovo per mettervi dentro il padre e con altra mirra ricopre il foro aperto nell’uovo per introdurvi il padre (quest’ultimo, posto all’interno dell’uovo, ne ripristina il peso originario); e dopo averlo così avvolto nella mirra, lo trasporta in Egitto nel santuario di Helios”
nel poema De ave Phoenice, attribuito a Lattanzio, si descrive la fenice che costruisce il proprio nido con varie sostanze aromatiche, tra cui l’incenso
Non casiae mitis nec olentis vimen acanthi
Nec turis lacrimae guttaque pinguis abest;
His addit teneras nardi pubentis aristas
Et sociat myrrhae vim, panacea, tuam”
“Non mancano i rami della mite cassia, né i tralci profumati dell’acanto,
né le lacrime dell’incenso e le gocce grasse (di resina);
a queste aggiunge le tenere spighe della nardo rigogliosa
e unisce la forza della mirra, o panacea, la tua”
Oro, incenso, mirra
i doni dell’Oriente sapiente al Gesù appena nato
Il Cristo è la nuova fenice
La rubedo si fa piena nella logica dell’incarnazione, si incarna nel contesto cristiano
Alchimia e misteri del divino

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