Politica: perché non ne scrivo in questa repubblica degli slogan

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Più di una persona mi ha chiesto perché non scrivo di politica e mi concentro su cose più leggere o su argomenti culturali. La risposta è molto semplice: perché sul niente c’è poco da scrivere.

Immersi nella confortevole illusione di essere in una democrazia abbiamo lasciato che l’orizzonte politico diventasse una partita di calcio. Il popolo grida sugli spalti mentre le due squadre si affrontano sul campo. E proprio come in una partita di calcio anche se dalla tribuna gridi più forte e hai l’illusione di contare qualcosa, la partita la stanno giocando altri. Che probabilmente, proprio come in quello sport, non sono neppure i personaggi scelti per la rappresentazione in campo ma un intreccio di presidenti di società, sponsor, dirigenti sportivi e bookmakers.

Mentre al popolo è lasciata solo l’illusione di gridare “Forza Roma” o “Forza Juve”.

Una politica di slogan


Perché come ogni tifo anche quello della politica attuale si base su semplici slogan che segnano i territori di appartenenza delle persone. “Me too”, “Prima gli italiani”, “no tav”, “cambiamo l’Italia adesso”, “vaffa”, “fascisti”, “antifa”.

Sarà che per me le parole hanno un certo peso e non sono il semplice ennesimo prodotto della fabbrica che trasforma qualunque cosa in prodotto da consumare. O sarà che non mi diverte fare la parte del topo condotto dal piffero. Ma di fronte ad uno slogan io sono quello che inizierebbe a chiedere: “in che senso?”, “cosa intendi precisamente?”, “in che modo questo può avvenire?”, “sulla base di quale visione del futuro?”.

Ma non puoi chiedere a un ultrà l’etimologia della parola “forza” mentre te la grida nelle orecchie. Perché farebbe ciò che si fa nei talk show: inizierebbe a gridare più forte e a usare violenza verbale contro di te e contro il gruppo in cui ha scelto di metterti.

Quindi qualunque cosa scrivessi di politica verrebbe subito filtrata dalla logica del tifo e qualcuno mi metterebbe addosso un bollino. “Destra”, “sinistra”, “sovranista”, “globalista”…

Il mio rapporto con la politica è talmente schizofrenico che ho avuto la tessera del PD, mentre da giovane mi candidai alle comunali con la Lega. La condanna di chi vuole tenere la propria libertà: non sei con nessuno ma sei tempestato di etichette.

Considerando che con uno slogan di tre semplici parole, “Liberté, Égalité, Fraternité”, accompagnato a fiumi di sangue rivoluzionario, i francesi hanno conquistato le menti di mezzo mondo, ho molta paura a vivere nella repubblica degli slogan. Perché questa non è politica. E non c’è niente di interessante da scriverci sopra.

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