Street poetry, io ho iniziato così

street poetry

Street poetry, poesia di strada. Forse ho portato poesia nella street art, nell’arte di strada. O forse nella graffiti art. O forse mi sono andato a perdere nel ginepraio anglofono che tanto piace ai critici. O magari ho semplicemente imbrattato un muro con delle parole.

Non lo so.

Quello che so è che ho sentito l’esigenza di portare alcuni versi fuori da me – o forse di portarli dentro di me – e di imprimerli sulla materia. Non sono il primo. Non sarò l’ultimo. Però eccomi qua.

Rinascimento poetico è il movimento che mi trovo in qualche modo a capeggiare. Decine, centinaia di poeti che vogliono salvare il mondo con la poesia. Siamo tutti poeti, vogliamo mettere poesia dappertutto, perché i cuori umani possano battere al ritmo dell’infinito.

Per cui ha un senso usare un muro bianco per proporre al mondo ciò che si agita tra dentro e l’eterno.

Quest’opera di street poetry, se davvero così vogliamo chiamarla – e si potrebbe benissimo chiamarla poesia di strada – nasce sulla sabbia romagnola, al BBK di Marina di Ravenna. Un luogo a cui sono legato da molti anni, dove oltre alla spiaggia ci sono mitologiche serate di feste e discoteca.

Può la poesia andare in discoteca? Deve.

Avevo dei versi in mente.

“Filo, posso scrivere una poesia su un muro” chiedo a uno dei proprietari.

O per fare street art bisogna per forza violare una proprietà? Non lo so.

Dice di sì, mi dà pure scala, vernice e pennello (un po’ grosso, forse per puro machismo).

street poetry

Con l’aiuto di alcuni personaggi che appartengono alla mitologia del luogo – Tobia, Paolo il padre del boss e Camara – in quattro e quattr’otto la poesia è scritta sul muro d’ingresso.

Ho sentito molta energia fluire su quel muro. Non posso fermarmi qui. Chiamatemi e imbratterò di versi anche il vostro muro.

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